Home Cultura Marcello Mastroianni: un latin lover d’altri tempi

Marcello Mastroianni: un latin lover d’altri tempi

by Benedetta Gambale

Marcello Mastroianni è forse l’epitome del latin lover, il simbolo consumato della mascolinità che il cinema italiano ha indagato tanto a fondo, con ironia, comicità, ma anche con crudezza, mettendo a nudo molti nodi della società italiana, quasi che lo scanzonato modello impersonato da Mastroianni fosse lo specchio di un intero mondo e delle sue dinamiche. […] Tanti sono i modelli di mascolinità che il cinema italiano ha indagato: l’impotente, il cornuto, la vittima di donne spregiudicate; quasi a mitizzare una serie di anti-eroi intrappolati in un modello di mascolinità tradizionale, ma sempre più instabile.

È stato interprete di 160 film calandosi nei ruoli più disparati: amante, prete, marito infedele, omosessuale, fotografo, giornalista, tassista. Tra i divi più amati del cinema italiano, viene visto come una reincarnazione di Rodolfo Valentino. E’ duttile, entra con facilità nei suoi personaggi, gioca molto con l’introspezione riuscendo ad emozionare con gesti minimi e sfumature impercettibili.

Sono stato impotente, prete, partigiano, omosessuale. Giovane quando ero già vecchio e vecchio che ero giovanissimo” – spiega lo stesso Mastroianni.

Mastroianni e il cibo

Mastroianni vive un’infanzia povera: “Vivevamo ammassati come conigli, come profughi scampati al terremoto. Nostro padre si adattò a fare il manovale. Una vita durissima, al limite della fame”. E proprio a causa della fame, successivamente avrà un rapporto particolare col cibo, un rapporto intenso quasi come con le donne. Prima de I girasoli, De Sica scriveva alla figlia: “E’ arrivato Mastroianni, più grasso del solito, non rinuncia a mangiare. Mi ha promesso che in questi due giorni che lo separano dal primo giro di manovella dimagrirà di due chili”. A Fellini, che lo costringeva a dimagrire, chiedeva: “Hai la macchina? Andiamo a Ostia a mangiare il risotto alla pescatora”.

Il lavoro come gioco

Per Mastroianni il lavoro dell’attore era un gioco piacevole, complicato, meraviglioso, un continuo confondersi con i personaggi che interpretava, tanto da domandarsi quand’è che Mastroianni, escluse tutte le maschere, avesse davvero vissuto. Nasceva una sorta di innamoramento momentaneo, un curioso transfert tra l’attore e il personaggio e in questo modo riusciva a liberarsi, ad essere se stesso, ad esprimere anche i suoi limiti. Dentro di lui c’erano tutti i personaggi che aveva incarnato, l’autoironia, la serietà e la capacità di assumere personalità diverse.

Il mestiere dell’attore io lo vivo come un gioco meraviglioso. Recitare è quasi meglio che fare l’amore perché è inebriante assumere sembianze, atteggiamenti e psicologie di qualche altro. È quello che fanno i bambini. È il gioco più antico. È il primo gioco che inventiamo quando facciamo finta che tu il poliziotto, io il gangster. Io mi nascondo lì, tu fai così. E uno ci crede”.

La sua è una recitazione fatta di semplicità, sarebbe stato strano vederlo sempre nei panni del grande eroe e il suo successo è dovuto anche a questa concezione del lavoro che egli preferiva chiamare col termine francese jouer. Un attore di altri tempi, dotato di fascino ma anche di grande umiltà, non ha mai vantato la sua bravura, sempre con i piedi per terra nonostante, negli anni ‘60, fosse l’attore maggiormente pagato e amato di tutta Italia. Non gli piaceva particolarmente la televisione, pensava che tutto ciò che era fuori dal cinema fossero menzogna e noia, mentre nel cinema si aveva la concretezza dei luoghi e delle persone.