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Piccolissima guida interpretativa all’indie italiano

by Lucido Peduto

Parlate con vostra nonna di Coez e probabilmente vi chiederà se è un nuovo modo di cucinare le cozze, con vostra zia di Gazzelle e forse verrete rimproverati del mancato souvenir dal safari in Africa, con vostro cugino già ammogliato di LE LUCI DELLA CENTRALE ELETTRICA e sarete prontamente interrogati circa la compagnia destinataria delle vostre bollette energetiche.

Segnaliamo già da subito su facebook “La stazione indiependente”, fonte di grandi soddisfazioni e discriminazioni varie

Parlare oggi di musica indie, nonostante la potenziale ignoranza dei vostri parenti e il parziale esclusivismo di ascoltatori giovani, è, indubbiamente, una voga predominante.
La realtà da analizzare però, al di là della moda, è forse tanto ampia quanto semplice.
Il presupposto basilare è: l’indie di per sé non è un genere. Lo si definisce tale perché come il rock, il blues, il jazz, è capace di creare un’atmosfera molto definita. Ciò tuttavia non basta a renderlo tale: non ha a che fare con un modo di organizzare lo spartito, né tanto meno con una tecnica di modulazione della voce, di organizzazione dei cori, di gestione del lessico, di querela verso Gasparri, nada.
L’indie è forse quasi un dato di fatto e basta.
Inoltre, nella semplicità più disarmante di cui già sopra, un artista che non è sotto contratto con una major discografica è, di fatto, un indipendente e per questo differisce da un altro che è sotto contratto con la Sony, la Warner, la Universal e simili. I Negramaro, Ermal Meta, The Kolors, Mario Venuti sono indie, proprio come tutti gli altri amanti dei sintetizzatori elettronici che gli universitari fuori corso ascoltano con indomito affetto e personalità del web dalla indubbia capacità creativa rielaborano in toni ironici.

Ora che avete anche le basi per scrivere una canzone indie, fine della prima parte.

Non stiamo trattando, come sembrerebbe, novità dei giorni nostri. Chi è campano ha conosciuto i 99 Posse, i quali più che gli uffici della Sony Music preferivano i centri sociali. Chi non è campano avrà magari ascoltato i Casino Royale o gli Afterhours. Un attimo dopo in play c’erano comunque i Baustelle, che ancora oggi hanno molto da insegnare e poi, d’improvviso catapultati ai giorni nostri, via di novità di fruizione: brani sconosciuti che dal nulla spuntano tra i consigli di youtube e, con la dovuta fortuna o le dovute ricerche, diventano popolari.
I locali perciò non sono più fondamentali come un tempo.
Troppe spiegazioni. Procediamo con un excursus comprendente alcuni esempi concreti di recente “indiependenza”.

Levante knows better. From Sicilia to Turin, oggi è a XFactor come giudice, addirittura a rimproverare i suoi colleghi di mancata onestà intellettuale. Coraggio quanto basta, testi strappacuore al punto giusto ed una identità musicale da sempre ben definita le sono stati sufficienti a conquistare ciò che doveva essere conquistato, in classifica e credibilità, senza dimenticare le numerose somiglianze a lei ricondotte con un certo periodo di Carmen Consoli. Non proprio ghetto underground insomma. Le perdoniamo una piccola svolta pop dell’ultimo album, proprio come se fosse davvero un errore.
Gesù Cristo è un po’ anche lei.

Calcutta è la quintessenza dell’indie. La pietra filosofale della totale assenza di major e, con ovvie probabilità, l’unico ad essere stato capace di rendere in testi e musica il paradosso dell’atmosfera di riferimento: racconti di banalità resi come esperienza trascendente, utilizzo di modalità di composizione o a tratti aberranti o incautamente geniali e l’inserimento in maniera apparentemente casuale di sintetizzatori ed elettronica. Si concretizza così un brano che una casa discografica con una conoscenza anche elementare del mondo musicale odierno non produrrebbe neanche sotto tortura.
E allora dimmi che cosa ti ascolto a fare. Chi lo sa.

Liberato è invece la manovra di marketing più riuscita e, nonostante questa sottomissione al dio denaro mascherato da tecniche comunicative efficaci, meriterebbe forse una forma d’introduzione migliore. Identità indefinita, musica catchy – misto testi partenopei – misto hip hop – misto cappuccio di felpa su individuo di spalle e numerosi video youtube che si interrogano su nome e cognome dell’artista.
Sufficiente per il milione di visualizzazioni e oltre? Sì.
Illustriamo brevemente anche la sinossi di approccio al cantante. Primo ascolto: prepotente mal sopportazione; secondo ascolto: cattura totale; terzo ascolto: acquisto spropositato dal merchandising più googlata dei testi.
Affermiamo senza paura alcuna che questo successo ci ha rimasti “sott a botta mbrissiunati”. Forse.

Segnaliamo con divagante affetto anche i Canova perché li ascolti, li odi e alla fine li canti, esemplificando al massimo ciò che l’indie oggi è e ciò che comporta su chi si lascia contaminare dai suoi suoni.
Chi mai canterebbe a squarciagola “Io non voglio che ti fumi l’erba”? La risposta è: qualunque essere umano capace di udire che ascolta questo pezzo.

Per non allungare questo elenco all’inifinto, ricordiamo Brunori Sas, Motta e i già citati Coez, Gazzelle e LE LUCI DELLA CENTRALE ELETTRICA che sono solo gli ultimi esempi di prepotente attenzione, non necessariamente radiofonica, nei confronti di indipendenti. Bisogna considerare inoltre non solo la diffusione di massa, ma anche la ricezione dei singoli ascoltatori.
Di fronte a cantanti dal seguito nettamente minore si creano infatti piccoli gruppi di ascolto che hanno poco da invidiare a quelli presi  in analisi da focus group psichiatrici per comunità di recupero. L’ascoltatore medio di indie è infatti un soggetto che si sente un eletto, un predestinato all’ascolto di una musica diversa, che potenzialmente egli solo è in grado di comprendere. Insomma, si può dire che l’indie crea in un certo senso (in)dipendenza e megalomania più o meno devastante.

Ricordiamo poi anche: I Cani, Ex-Otago, Colapesce, Motta, Iosonouncane, = Belize =, Lo Stato SocialeComa-Cose, I Ministri, Stag, Artù, Meg.

Un’immagine esemplificativa di quanto gli abissi dell’indie siano sconfinati. (c) “La Stazione IndiePendente

Per non gettarvi in una sconfinata confusione, Spotify ha già provveduto a inglobare tutto in una entusiasmante playlist che vi porterà esclusivamente a due conclusioni ben distinte: innamoramento totale o emicrania insopportabile.

Difficile quindi spiegare esaustivamente l’indie come se fosse una definizione da vocabolario. Più facile pensarlo come una percezione, una sensazione derivante da un mix di suoni e parole che non si può ricondurre ad un genere assestante, bensì più che altro ad un esperimento musicale che tenta costantemente di avvicinare i contenuti alla banalità del quotidiano, ad un certo tipo di routine o magari a certe abitudini, sia sentimentali che non, che, rispecchiando i nostri tempi, si alienano nelle incertezze più disparate e, per reazione, si esasperano, diventando disperazione mascherata nell‘ironia e nell’inconsueto.
Per questo, forse, l’indie oggi non è altro se non la narrazione di un atteggiamento frequente dei nostri anni, soprattutto nei più giovani.

Buon Ascolto!